Il turismo può essere sostenibile? In questi momenti, con un turismo quasi tornato ai livelli pre-pandemia, è interessante farci questa domanda. Soprattutto perché pare che parlare di sostenibilità nel turismo sia l’ultima moda. La risposta purtroppo è tranciante: No. Il turismo per definizione non è un’attività sostenibile perché si basa sul movimento di volumi di persone, sull’utilizzo massiccio delle risorse naturali, culturali, ecc. e soprattutto su un modello economico di volumi per ridurre i costi.
Sulla carta è facile parlarne e pontificare, ma la realtà è un’altra. Nel lontano 1988, la World Tourism Organization definiva il turismo sostenibile come quello che “gestisce le risorse in modo da soddisfare i bisogni economici, sociali ed estetici, mantenendo l’integrità culturale, i processi ecologici essenziali, la diversità biologica e i sistemi che supportano la vita”. Sicuramente è una bella definizione. Ma purtroppo le condizioni del modello turistico attuale rendono molto difficile per una destinazione, un prodotto o attività turistica, prendere in considerazione le ripercussioni attuali e future, economiche, sociali e ambientali delle comunità ospitanti.
Oggi assistiamo alla nascita di una valanga di progetti di sviluppo “di turismo sostenibile”, in molti casi auspicati e finanziati con i fondi PNRR. Ma si deve essere onesti e considerare che viaggiare per piacere è una delle attività più insostenibili che esistano. Il turismo tradizionale consiste nel portare quanti più visitatori, il più lontano possibile, perché si facciano un selfie, lo diffondano attraverso internet e i social network, in modo che attraggano altri turisti. Tutto questo implica consumare energia, contaminare e modificare le condizioni delle destinazioni. E quasi sempre facendo sparire i loro valori naturali o differenziali, o costruendo infrastrutture e strutture turistiche e ricettive poco ecologiche.
Modificare questa dinamica comporta problemi. Soprattutto perché in molti territori (anche italiani) il turismo si è convertito nell’attività economica principale. Ma anche perché in molti altri territori si vede il turismo come la risoluzione a tutti i problemi. Di fatto è l’intero sistema economico che si fonda su un modello che è lontano mille miglia dal concetto di sostenibilità. Pensiamo alle low cost, alle strutture ricettive con un volume d’occupazione che gli garantisce redditività, ai tour operator, ecc. Ma soprattutto chiediamoci se il mercato e i turisti sono disponibili a pagare molto di più per le vacanze.
I rischi del turismo
In alcune occasioni, la valanga turistica è di tale magnitudo che moltiplica la popolazione locale. E ciò accade soltanto in determinati momenti, lasciando tutto vuoto o chiuso il resto dell’anno (pensiamo ad alcune destinazioni della Sardegna). Sembrava che con il Covid il c.d. overtourism sarebbe finito. Ci illudevamo! Continuiamo ad auto ingannarci, dicendoci che la chiave del turismo sostenibile sia mettere in valore l’autenticità e l’esperienza, cioè tutto ciò che è local. Ma onestamente, è una giustificazione. Con l’aggravante che i fattori differenziali (ovvero ciò che cerca il turista) sfumano gradualmente e che per continuare ad attrarre turismo si deve ricorrere a una rigenerazione continua del prodotto turistico.
Il turismo non è il diavolo contro cui si deve lottare. Dobbiamo lottare contro le giustificazioni che ci diamo per continuare a gestire le destinazioni e le attività ricettive, di servizi turistici, i trasporti, ecc. come lo abbiamo sempre fatto. Ovvero con un modello incentrato sui volumi e non sulla qualità, per ottenere la massima reddittività nel minor tempo possibile (stagionalità). Il problema è di gestione, di management. Purtroppo, spesso nelle destinazioni non ci sono professionisti locali con iniziativa, capacità e visione sufficiente per gestire e organizzare il turismo. E neanche per supportare adeguatamente le amministrazioni, gli operatori turistici e di servizi locali.
Cosa succederà nei territori in cui si attuano frenetici progetti di infrastrutture, di trasformazioni di strutture in ricettività, ecc. con l’ambizione di diventare destinazioni turistiche? Tutti pensano che con questi interventi arriverà il turismo magicamente. Ma consideriamo il rischio che fra non molto ci saranno delle cattedrali nel deserto e cittadini che non vedranno soddisfatte le proprie aspettative. Oppure nel caso in cui un territorio diventi turistico, con l’arrivo di eccessivi flussi di visitatori, può nascere nella popolazione la turismofobia. O peggio, che gli abitanti convertano le case in comodi b&b, riducendo l’offerta abitativa per i locali. Ma anche che il commercio si trasformi, abbandonando i prodotti propri per trasformarsi in ristorazione street food, o negozi di souvenir made in china.
Onestamente, dobbiamo smettere di raccontarci dell’autenticità. La realtà è che con il turismo si produce, in molti casi, un’imposizione di idee, culture ed abitudini da parte dei visitatori. Fino al punto che, a poco a poco, la popolazione locale si adegua alle loro esigenze. Il turismo è pensato ed impostato per fornire le comodità alle quali il turista è abituato: dal cibo ai trasporti, passando per la ricettività.
Dobbiamo considerare che alcune delle condizioni di base del turismo non saranno mai sostenibili. Il turismo massivo (il modello esistente in Italia), trasporta molta gente rapidamente, fornisce alloggio in strutture ricettive vecchie e non ottimizzate, con attrattive turistiche scarsamente gestite in modo sostenibile. Ciò implica ovviamente un consumo di energia e una contaminazione che non possono essere qualificati come sostenibili. E anche quando si parla di turismo sostenibile, lo si fa partendo delle premesse del turismo che conosciamo, cioè quello massivo.
Non possiamo continuare ad agire come abbiamo sempre fatto. Ma neppure si può trasformare di getto il modello del turismo massivo in turismo sostenibile, soltanto con nuove definizioni o strategie di marketing. Un esempio: siccome il turista domanda esperienze, quello che si fa è cambiare il titolo del prodotto e presentarlo come una esperienza.
Turismo sostenibile o gestione sostenibile?
Passare da un modello di turismo intensivo e massivo a un modello di turismo sostenibile è come la questione della transizione ecologica ed energetica. Non è indolore e ha dei costi. Chiediamoci se siamo disponibili a sopportare questi costi, ma anche se il mercato e la domanda è disponibile a pagare di più. Siamo disponibili a considerare formule come la contingentazione dei flussi nelle attrattive turistiche o il numero chiuso per le destinazioni? Continueremo ad essere ben pensanti e sostenere la democratizzazione del turismo, quando essa rende il turismo poco sostenibile? Ricordiamoci dei problemi che hanno avuto Roma e le nostre città d’arte perché l’offerta era impostata sui volumi, che con la pandemia non sono arrivati.
È imprescindibile cambiare il modello riducendo consumo, contaminazione e urbanizzazione del territorio. Questo più che sviluppo comporta gestione di ciò che già esiste. Una trasformazione che sarebbe interessante per il settore, poiché implicherebbe far evolvere un prodotto generalmente basato sul turismo estensivo in un altro più rispettoso. E siamo onesti: la diversificazione è sempre interessante per il business.
Sarebbe utile che quando si parla di turismo sostenibile, almeno in Italia, ci si concentrasse sulla preservazione del proprio prodotto turistico. Spesso esso è basato sulle condizioni naturali del luogo, ma anche sul passato e la storia. L’attrattività turistica dell’Italia è fondata su attrattive naturali, culturali, storiche, ecc. che sono fragili. Se queste attrattive si deteriorassero, smetteremmo di essere una destinazione attrattiva e di conseguenza diminuirebbe la reddittività e l’attività economica per la popolazione locale.
Pertanto sarebbe conveniente passare dai vuoti discorsi sulla sostenibilità del turismo, alla gestione turistica integrale delle destinazioni, per far sì che si riduca l’attuale insostenibilità del turismo, per avvicinarci per quanto possibile a una maggiore sostenibilità. In essenza, dobbiamo raccontarci meno che siamo “il Bel Paese” ed agire e gestire per continuare ad esserlo nei prossimi decenni.