Quando è apparso il Covid, nessuno pensava che il turismo avrebbe subìto un colpo così duro. Con il prolungarsi della pandemia, ci siamo man mano avvicinati, senza saperlo, alla fine di un’era e al conseguente inizio di un’altra. Ormai dobbiamo considerare che c’è stato il turismo pre-Covid e ci sarà quello post Covid. Ma in questi momenti stiamo vivendo e lavorando in una situazione che possiamo definire “turismo con il Covid”. Dopo un disastroso 2020 e un 2021 che si sta rivelando complicato, è arrivato il momento di riflettere su come sarà il futuro del settore.
Il turismo come lo conoscevamo e come lo gestivamo non ritornerà. Sono cambiate molte cose. Gli operatori turistici adesso non lo percepiscono, avendo un mercato fondamentalmente nazionale, ma nei mercati internazionali ci sono già delle trasformazioni in atto. Incremento delle vacanze brevi, work-holiday, staycation, richiesta di turismo sostenibile e responsabile, ecc. Tutto ciò impone il bisogno di un ripensamento dell’attuale modello turistico nelle destinazioni e nel sistema turistico locale.
In questo momento è necessario un cambiamento di paradigma, di concetto e soprattutto di azione e operatività. Perché, siamo onesti, il turismo in Italia, anzi nelle destinazioni turistiche italiane, non è stato mai gestito, ma soltanto sfruttato.
Questa non è soltanto una mia visione, ma è anche di soggetti come McKinsey, Phocuswright, Booking.com, e supportata da molte analisi. Il turismo com’era fino al 2019 non ritornerà fino al 2024-2025 e sarà caratterizzato soprattutto da un turista diverso nei comportamenti e bisogni. E questo è lo scenario molto probabilmente più ottimistico, se pensiamo anche al recupero dei flussi turistici internazionali. Il ritorno alla “normalità”, se così possiamo chiamarla – ma probabilmente dovremo consolarci con una “nuova normalità” – sarà sicuramente graduale e progressivo. Abbiamo davanti una lunga strada da fare.
Quale turismo nella ripartenza post-Covid?
Sicuramente tornerà prima il turismo leisure, iniziando da quello domestico, per poi passare a quello di corto e medio raggio (flussi europei). È stato così già l’anno scorso e lo si sta vedendo anche questa stagione. Il lungo raggio e l’intercontinentale (gli agognati americani e cinesi) saranno gli ultimi ad essere recuperati. Avremo una domanda diversa: un turismo più balneare rispetto a quello urbano, più di destinazioni rurali e di natura che di turismo culturale. Il turista considererà la vacanza come qualcosa di valore per sé, per avere dei benefici personali. È ancora presto per dire se i nuovi turisti spenderanno di più per le proprie vacanze, ma tutto fa pensare di sì. Questo perché probabilmente, con il recupero del turismo, cambierà anche il modello di turismo low cost. Passeremo da una domanda di turismo “del dove” a una domanda segmentata di turismo “del perché”.
Il settore corporate crescerà lentamente, poiché le aziende hanno capito che molti viaggi possono essere evitati grazie alle nuove tecnologie, risparmiando in modo considerevole. Infine, il MICE sarà l’ultimo a riprendere. Per i grandi eventi il volume di presenze sicuramente non sarà più come quello di una volta.
Davanti a questo panorama, le destinazioni devono considerare la necessità di modificare qualcosa. Innanzitutto devono riorganizzare la propria proposta. Ciò che funzionava fino al 2019, oggi magari non funziona più. Ad esempio, i mercati principali nel 2019 non necessariamente ritorneranno ad essere così importanti.
L’obiettivo: trovare il giusto equilibrio
L’Italia ha un modello turistico fondato maggiormente sul turismo leisure, di turismo culturale/città d’arte e molto dipendente da pochi mercati. Il nostro attuale modello funziona grazie all’economia di scala (alti volumi e ridotta marginalità) e, anche se non vogliamo sentircelo dire, è improntato sul turismo di massa. Nel nuovo contesto, invece, l’obiettivo dovrebbe essere chiaro: trovare un equilibrio. Ovvero, diversificare i mercati internazionali e strutturare un’offerta di prodotti turistici meno “culturali”, adatta per diversi segmenti di mercato. Dobbiamo sviluppare il turismo urbano, non esattamente quello di città d’arte, ma anche il turismo wellness e well-being e proteggere la nostra quota di turismo balneare. Va bene incrementare il turismo luxury, ma è importante non dimenticare quello premium, ecc.
Non dobbiamo però pensare che sia solo un compito dell’Enit o del Ministero e delle Regioni. Tutte le destinazioni devono adeguarsi e adattarsi alla nuova situazione e alle nuove tendenze per riorganizzare il proprio modello turistico. Le destinazioni, gli operatori e le associazioni di categoria, devono lavorare su questi aspetti. Il loro ruolo deve essere spingere le amministrazioni e i soggetti di gestione, marketing e promozione turistica, a rivedere e attuare le strategie.
Per far sì che il turismo ritorni in Italia e che questa resti una destinazione leader nel mercato (non è scontato!), dobbiamo partire dalla sostenibilità. Ma attenzione, questo è un concetto ampio. Per affrontare il turismo post Covid, il turismo in una destinazione deve essere sostenibile a 360 gradi. Pertanto si dovrà lavorare strategicamente e operativamente per fare in modo che il turismo sia:
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Economicamente sostenibile
Ciò significa focalizzare gli sforzi su diversi segmenti di mercato, e non solo su uno, ovvero ampliare i mercati di riferimento. Per ridurre i disequilibri di un turismo massivo e con pochi prodotti e mercati turistici, le destinazioni dovranno lavorare per un modello più sostenibile. In questo modo, la stagionalità sarà meno accentuata e con una minore dipendenza da un solo segmento o mercato. La trasformazione sostenibile in una destinazione deve basarsi su quattro pilastri:
- Evitare le eccessive dipendenze da un segmento o mercato specifico
- Scommettere su diversi segmenti e mercati, in modo tale che generino ricchezza e che questa si distribuisca sul territorio
- Diversificare i prodotti, costruire un’offerta multiprodotto
- Incorporare una visione, ovvero dove si vuole arrivare, come e perché
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Ecologicamente sostenibile
Un modello turistico di destinazione deve far sì che il turismo nel territorio sia ecologicamente sostenibile. I clienti, soprattutto quelli luxury e premium, sono (come conseguenza della pandemia) sensibili alla preservazione dell’ambiente. Preferiscono destinazioni che sono attente a preservare le risorse naturali e abbiano politiche attive nell’ambito della riduzione della contaminazione e nella cura dell’ambiente.
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Socialmente sostenibile
Non è meno importante che il turismo in una destinazione sia organizzato per essere socialmente sostenibile. I turisti esigono già più qualità e quantità di servizi, ma richiedono anche una migliore capacità e preparazione dei professionisti del turismo. La conseguenza sarà migliori condizioni per i nostri turisti, che giustificherà una maggiore spesa sul territorio. Tutto questo, oltre alle condizioni di lavoro, porterà anche una maggiore ricchezza. Ma socialmente sostenibile significa anche un turismo in armonia con i residenti ed evitare tensioni con i locali, con una percepibile sensazione di accoglienza diffusa. Un turismo che non sia invadente, né crei eccessivi disagi alla popolazione.
In Italia siamo sensibili alle mode. Adesso la moda di cui tutti parlano nel turismo è la sostenibilità, seppur molti non sappiano di cosa si tratti effettivamente. Un esempio? I borghi vanno di moda. Ma nessuno si chiede cosa succederebbe se in un borgo cominciassero ad arrivare migliaia di turisti, senza che esso sia preparato, abbia sufficienti posti letto, strutture e infrastrutture. La risposta è facile: un disastro. Perché diciamoci la verità: il turismo di per sé non è sostenibile. Pertanto è necessario prima di tutto lavorare per assicurare e costruire una destinazione turistica sostenibile.
E questo non è automatico! Per creare un circolo virtuoso, devono lavorarci subito sia le imprese private, sia le amministrazioni.